Quando si devono effettuare lavori di ristrutturazione all’interno della propria abitazione non c’è soltanto la questione della spesa da affrontare, ma anche quella relativa ai permessi che occorre avere per essere in regola: una questione che è diventata ancora più impellente in questo periodo storico, con i vari bonus per i lavori che possono essere ottenuti previa presentazione di diversi documenti.
Per chi non fosse un addetto ai lavori si tratta di una questione non propriamente semplicissima da affrontare. Andiamo a vedere più da vicino la questione delle pratiche burocratiche, cercando di capire quando serve un permesso e quale deve essere.
Il punto di partenza è costituito dalle opere che non necessitano di un permesso. In questo novero rientrano in particolare quelle di manutenzione ordinaria che, in base a quanto disposto dall’Art. 6 del Testo Unico sull’Edilizia (T.U.) sono, “gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o necessari ad integrare/mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti“. Questo genere di interventi non necessita di alcun titolo abilitativo, ovvero non devono essere comunicate a nessuno.
Il discorso muta nel caso in cui si entri nel terreno della manutenzione straordinaria anch’essa definita nell’art. 6 del T.U. sull’edilizia. In questo ambito vanno a rientrare opere e modifiche necessarie al fine di rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, oltre che tese a realizzare ed integrare servizi igienico-sanitari e tecnologici, a patto che non vadano ad alterare la volumetria complessiva degli edifici e mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti un incremento del carico urbanistico.
E, ancora, nella categoria rientrano il frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere e le modifiche ai prospetti degli edifici necessarie a mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio, oppure per l’accesso allo stesso. L’unica eccezione è rappresentata dagli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (DLgs 22 gennaio 2004, n. 42).
La manutenzione straordinaria, quindi, prevede la realizzazione di interventi più invasivi di quelli ordinari, tali però da non comportare un aumento del volume della casa. A partire dal 2020, inoltre, la categoria va a comprendere anche i cambi di destinazione d’uso considerati non rilevanti. Con tale definizione si intendono i cambi d’uso che riguardano la stessa categoria funzionale. Queste categorie sono cinque: residenziale, turistico ricettiva, produttiva – direzionale, commerciale e agricola.
Se si intende trasformare una struttura in un’altra della stessa categoria, si tratterebbe di manutenzione straordinaria, mentre il passaggio da una categoria all’altra dopo i lavori, evita di entrare in questa categoria. Si tratta in effetti di una specificazione di non poco conto, considerato come proprio questi siano gli interventi che richiedono la CILA (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata) o la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività). La seconda sostituisce la prima nel caso in cui l’intervento riguardi elementi strutturali (ad esempio muri portanti, pilastri, travi o solai), per i quali necessita un progetto redatto da un ingegnere e depositato presso il Genio Civile.